mercoledì 27 novembre 2013

asma & fitness


L’asma è una malattia caratterizzata da dispnea (respirazione difficoltosa) intermittente, secondaria a bronco stenosi (cioè costrizione bronchiale o diminuzione diametro delle vie aeree e conseguente congestione vascolare diffusa: la stenosi varia da momento a momento, sia spontaneamente sia in rapporto alla terapia – J. B. West 1980). Partiamo dicendo che l’attività fisica è un fattore scatenante l’asma nell’80-90% dei soggetti con asma quindi… prestiamo attenzione!
Quadro patologico
Nelle vie aeree troviamo il seguente quadro:
 - ipertrofia muscolare liscia. Questa ipertrofia è causata dalla continua contrazione muscolare;
- ipertrofia ghiandole mucose che presentano un muco patologico, denso e poco mobile;
-infiltrazione eosinofila: gli eosinofili sono globuli bianchi (leucociti) coinvolti nelle reazioni allergiche e nella difesa contro le infestazioni parassitarie. Nel sangue, gli eosinofili rappresentano soltanto l’1-3% circa della popolazione leucocitaria; più elevata, invece, risulta la loro concentrazione in quei tessuti esposti ad agenti ambientali, come il tratto digerente, i polmoni, gli epiteli genitourinari ed il tessuto connettivo cutaneo. è a questo livello, infatti, che i linfociti proteggono l’organismo dall’eventuale attacco di parassiti, che combattono rilasciando sostanze in grado di danneggiarli o ucciderli.
Il nome eosinofili deriva dal fatto che i loro granuli citoplasmatici si colorano di rosa-rosso con un colorante particolare chiamato eosina. Esaminando il contenuto di questi granuli, sono state scoperte moltissime sostanze chimiche capaci di mediare le varie reazioni di difesa e regolatorie nelle quali sono coinvolti. Gli eosinofili, ad esempio, sono particolarmente attivi durante le reazioni infiammatorie ed allergiche, dove contribuiscono al processo flogistico e al danno tissutale attraverso il rilascio di sostanze ossidanti ed enzimi tossici. Oltre a favorire le risposte infiammatorie, gli eosinofili hanno anche azione regolatoria.
Eosinofili alti
Il conteggio degli eosinofili nel sangue varia con l’età, l’ora del giorno (bassa il mattino, più alta la sera), l’esercizio fisico, gli stimoli ambientali e, in particolare, l’esposizione allergenica. Seppur importanti per la difesa dell’organismo, gli eosinofili possono produrre danni e stati di sofferenza tissutale per il massivo rilascio delle loro sostanze citotossiche. Un aumento degli eosinofili circolanti (eosinofilia) accompagna molte forme allergiche, tra cui l’asma allergica, la febbre da fieno o l’ipersensibilità a farmaci come l’aspirina – le infestazioni da parassiti (come la malaria), le dermopatie e particolari forme di leucemie. I medici parlano di eosinofilia (eosinofili alti) tutte le volte che la loro concentrazione nel sangue supera i 450/500 per mm³.


Eosinofili bassi
Gli eosinofili vengono prodotti dal midollo osseo, dove rimangono e maturano per 8-10 giorni. Al termine di questa fase, passano nel circolo sanguigno e nel giro di 8-12 ore migrano nei tessuti, dove rimangono alcuni giorni senza più rientrare in circolo.
La conseguenza di questo quadro è una diminuzione del lume delle vie aeree con aumento della resistenza e quindi un aumento del lavoro muscolare. Inoltre se la diminuzione del lume supera un certo livello abbiamo una vera e propria chiusura delle vie con il fenomeno conosciuto come “air trapping” che conduce ad un’esalazione incompleta. Questo perché, ricordiamo, l’espirazione è per lo più un fenomeno passivo che avviene per l’elasticità dei tessuti preventivamente stirati dall’inspiro. La prevalenza dell’asma è del 10% nella popolazione scolastica, con un rapporto femmine maschi di 1:1,5; con l’aumentare dell’età tale rapporto cambia aumentando l’incidenza nelle donne. Può essere scatenata da:
- Inquinamento
- Contatto con prodotti nocivi
- Stress
- Infezioni
- Stimoli farmacologici: aspirina
– beta bloccanti
 La capacità vitale è l’escursione volumetrica massima, dalla massima inspirazione alla massima espirazione. Il FEV (Forced Expiratory Volume), volume espiratorio forzato in 1”: volume di aria espirata con forza durante il primo secondo dopo un respiro a pieni polmoni. La capacità vitale forzata (CVF) è il volume totale di gas che può essere espirato dopo un’inspirazione completa.
Le immagini seguenti illustrano il comportamento del tracciato in diversi casi.
 La figura A mostra un tracciato normale. Il volume di gas espirato per secondo è di 4l (FEV), il volume totale di gas è di 5l (CVF). Il rapporto normale tra FEV e CVF è dell’80%. La figura B illustra il tracciato in un paziente con sindrome ostruttiva (asma bronchiale). Come si può vedere il FEV è molto ridotto ed il rapporto FEV/CVF si riduce al 42%. Tipico esempio di forma ostruttiva. La figura C mostra invece un tracciato di un paziente con sindrome restrittiva (fibrosi polmonare) dove la CVF si è ridotta ma la maggior parte dell’aria viene espulsa durante il 1° secondo. Tipico tracciato di malattia restrittiva.
E’ importante sapere che dopo 10’ di attività fisica il soggetto potrebbe avere un attacco d’asma, così come dopo 7 ore (probabilità dell’80-90%). E’ utile avvertire il cliente in modo che non si spaventi: avverrà un adattamento che farà scomparire questi avvenimenti.L’attività fisica alza la tolleranza all’asma: quindi se prima di fare attività si può presentare un attacco d’asma con il 50% del VO2max, facendo attività alzo questa soglia. In buona sostanza, chi pratica attività fisica ha bisogno di stimoli più intensi per avere un attacco. Dobbiamo parlare di EIA: Exercise Induced Asma o asma da sforzo, che non è un particolare tipo di asma ma l’esercizio fisico è semplicemente uno dei fattori scatenanti, similmente alle infezioni respiratorie. Per sottolineare tale concetto è più spesso utilizzato il termine di broncospasmo indotto da esercizio fisico (EIB) in sostituzione del termine EIA. Perché c’è l’EIA? La cause sono due:
- Perdita di liquidi
- Freddo: l’aria fredda e secca può scatenare asma in coloro che fanno attività fisica perché irrita e gli atti respiratori aumentano.
Questi due fattori conducono ad un danno al tessuto alveolare con effetti tipo liberazione di istamina (mediatore chimico dell’infiammazione) e variazione della concentrazione di AMPc (composto derivante dall’adenosintrifosfato; agisce come intermediario e attivatore in molti processi metabolici). Questi conducono ad un edema delle pareti e ad una contrazione della muscolatura liscia. Gli eventi in sequenza sono: poco dopo l’inizio dell’esercizio c’è una bronco dilatazione per l’aumento delle catecolamine e diminuzione del tono vagale (il tono vagale è lo stato di eccitazione del sistema parasimpatico che, insieme all’attività antagonista del tono simpatico, mantiene l’equilibrio neurovegetativo dell’organismo; per esempio, l’attività vagale favorisce la digestione e l’assorbimento intestinale, in quanto aumenta la secrezione gastrica e la motilità intestinale e rilascia lo sfintere pilorico; regola lo svuotamento della vescica; rallenta il battito cardiaco; stimola la secrezione delle ghiandole lacrimali e salivari ecc.): 1) Assistiamo così ad un aumento della FEV e della PEFR (picco di flusso espiratorio) 2) Successivamente avviene una bronco costrizione e quindi calano FEV e PEFR (15%) con il punto più basso circa 3-10’ dopo l’inizio dell’esercizio 3) Questi valori tornano a livelli normali dopo 60’ (alcuni pazienti necessitano di farmaci per il ritorno alla normalità). Il picco di flusso espiratorio (PEFR) rappresenta la velocità massima con cui l’aria può essere espulsa dai polmoni dopo una inspirazione completa. La misurazione del picco di flusso consente una valutazione quantitativa della resistenza delle vie aeree ed è una metodica semplice e riproducibile. La misurazione del picco di flusso può essere utilizzata per valutare la gravità dell’asma e per controllare la risposta al trattamento farmacologico. Il misuratore di picco rappresenta perciò un mezzo estremamente pratico per monitorare la patologia asmatica e offre ai pazienti una maggiore autonomia operativa. Se associato ad una adeguata preparazione del paziente può migliorare in modo significativo il trattamento della malattia.
L’attività con i pesi non è pericolosa così come non dà miglioramenti.
Vediamo alcuni punti importanti:
- La durata è irrilevante
- Bene sport intermittenti
- Intensità del 50-85% del VO2max o 65-90% della FCmax (intensità decisamente alte) inizialmente per 15’ poi fino a 60’ (dati American Sport Medicine)
- Bene lavoro a circuito controllando l’intensità in base al suo stato asmatico.
Nella prescrizione dell’esercizio nell’asmatico dovremo allora:
1) Rispettare un’intensità di allenamento tale da superare la soglia allenante cardiorespiratoria quindi > 50-85% VO2max o 65-90% FCmax
2) Proporre un training intervallato 10-30” con 30” rec (ma possiamo anche spingerci a 40-60” con 60-90” rec)
3) Eseguire sempre una forma di allenamento progressivo.
Si consiglia l’uso di Beta2 agonisti 5/10’ prima dell’esercizio se dopo 3/4 allenamenti il soggetto ha sempre attacchi post esercizio. Essi, in forma di aerosol, agiscono in 60” con efficacia fino a 2 ore (sentire il parere del medico). Caffè e coca cola hanno un effetto bronco dilatante perché hanno le metilxantine che danno broncodilatazione. Attenzione a consigliare attività in acqua in quanto il cloro è irritante per le vie respiratorie. Scambiarsi informazioni con il medico curante è una cosa fondamentale per la salute del nostro cliente e per la buona riuscita dell’allenamento

martedì 26 novembre 2013

la dieta






Per recuperare in breve tempo un fisico tonico e magro è meglio buttarsi a capofitto in una dieta shock o allenarsi senza sosta?
La bella stagione è ormai arrivata, il sole, il caldo e la voglia (oltre che la necessità) di scoprirsi hanno sostituito il freddo inverno appena trascorso. Come ogni anno, per migliaia di persone, questo periodo coincide con la consapevolezza di una forma fisica che meriterebbe d’essere migliorata e comincia l’ardua scelta tra una dieta drastica, tipica di chi prova a correre ai ripari all’ultimo momento, o un allenamento esasperato con la convinzione che dedicarsi per ore e ore ad una qualsiasi disciplina sportiva possa cambiare il proprio aspetto fisico, sebbene in poche settimane. Prima di lasciarsi sedurre dall’idea di una dieta ferrea o di un allenamento esagerato occorrerebbe analizzare meglio quali sono le differenze tra queste due alternative.


Quando la dieta non è ponderata
Sottoporsi ad una dieta ferrea sembra quasi sempre la soluzione migliore, in realtà il numero di diete che poifalliscono rasenta la quasi totalità di chi prima o poi prova a percorrere questa strada, vale soprattutto quando la scelta di una forte riduzione alimentare appare l’unica soluzione per dimagrire e farlo in tutta fretta.
La ragione è evidente, l’idea stessa di dover subire una privazione fa aumentare il desiderio di alimentarsi, non poterlo fare pone una condizione di stress emotivo, di malumore. Accade in ogni momento dell’anno, ma forse ancor di più in estate quando le giornate più lunghe, il clima vacanziero e quindi il bisogno di rilassarsi mal si concilia con un ferreo controllo su quello che si mangia. È inevitabile che i buoni propositi si infrangano rapidamente dopo pochi giorni o poche settimane di restrizione calorica, che spesso sono il preludio per un periodo di nuove abbuffate. Una simile situazione non fa altro che comportare delle privazioni temporanee che ciclicamente si alternano nel corso dell’anno, spesso tristemente promosse da molte riviste che nei periodi cool propongono fantasiose diete con le quali promettono di far perdere kg e cm in pochi giorni. Quello che non viene detto è che la perdita repentina di peso porta ed essere certamente più leggeri, ma questo non significa essere più magri. Anzi molto spesso una dieta drastica comporta una gravosa diminuzione di massa magra, e con essa una grande quantità di acqua (principale componente anche delle strutture muscolari) avendo come risultato solo quello di apparire più leggeri.
La quantità di grasso realmente impiegato è bassissima, anche perché il processo di utilizzo dei grassi è tutt’altro che rapido e cospicuo. Per contro, aver determinato una diminuzione delle masse muscolari comporta il rallentamento del metabolismo, che si traduce con un minore consumo di calorie. La vera chiave di volta del dimagrimento infatti è proprio l’accelerazione metabolica. Lo sanno bene coloro che dosano nel loro allenamento le giuste proporzioni di lavoro aerobico e lavoro con i sovraccarichi, poiché una muscolatura più ipertrofica (senza la necessità di avere l’aspetto tipico di un bodybuilder) aiuta moltissimo non soltanto nel processo di dimagrimento, ma rappresenta una sorta di misura di sicurezza che previene nuovi incrementi adiposi. Una dieta drastica porta quindi ad una repentina perdita di peso che però non corrisponde ad un reale dimagrimento, e ad un calo del metabolismo che porta a recuperare rapidamente i kg persi appena si conclude il periodo di restrizione alimentare anzi, molto spesso i kg che si recuperano dopo una dieta sono perfino maggiori di quelli che si erano persi. Finendo, dieta dopo dieta, per peggiorare drasticamente le proprie condizioni, al punto che forse sarebbe stato meglio non cominciare mai. Inoltre il dimagrimento mediante una dieta, quand’anche si realizzasse, determina un aspetto maggiormente sciupato e deperito, nulla a che vedere con l’ambizione condivisibile di avere un fisico che non sia solo e semplicemente magro, ma che sia più attraente sotto il profilo estetico e certamente più prestante sotto l’aspetto funzionale.
 
La giusta “dose” di attività fisica
Il raggiungimento di questi obiettivi può essere effettuato esclusivamente con una attività fisica, e non certo con allenamenti intensi ed esasperati nella vana ricerca di un risultato immediato, che non si può ottenere ed esporrebbe in aggiunta a numerosi rischi per la propria salute, oltre a consentire solo qualche effimero miglioramento. La strada da percorrere è quella della sollecitazione fisica, un allenamento regolare e costante. Non quindi uno strumento per tamponare o sopperire a qualche inestetismo, quanto l’acquisizione di uno stile di vita attivo che permetta certamente vantaggi sul fronte estetico, ma non di meno agisca migliorando l’aspetto funzionale, la performance, la qualità della vita e, non ultimo, la sua durata. L’allenamento costante è più efficace di uno stimolo saltuario ed intenso poiché in questo caso non si punta soltanto ad “apparire” al meglio, ma ad avere una marcia in più anche sotto il profilo salutistico. Quanto alla forma fisica, l’allenamento costante non induce una sensazione di malessere, di frustrazione da carenze, come per una dieta ferrea, ma restituisce una sensazione di benessere diffuso, che ha una spiegazione anche nei processi ormonali che si determinano. L’allenamento costante permette di accelerare in modo significativo il proprio metabolismo e di migliorare il trofismo muscolare. Questo significa avere un aspetto fisico più gradevole, più atletico e scattante. Significa indurre un graduale processo di dimagrimento che possa portare in modo selettivo ad utilizzare gli eccessi lipidici, anche nei casi in cui ci si conceda qualche “sgarro” alimentare. Proprio perché maggiore attività muscolare implica un maggior consumo energetico, capace di compensare qualche piccolo eccesso.
L’incubo dell’ago della bilancia scompare poiché non è più l’elemento capace di determinare il grado di forma di un soggetto, il parametro peso non discrimina tra massa adiposa e massa muscolare, e a parità di peso c’è un’enorme differenza tra chi costantemente si allena e chi è in sovrappeso.
Appare evidente quindi che la strada di una dieta ferrea e restrittiva non può essere mai la soluzione migliore perché le privazioni sul lungo periodo non possono essere mantenute, ed hanno una serie di effetti negativi a cascata. Inoltre è impensabile ed inattuabile una vita in cui si è perennemente a dieta. Porterebbe ad un tale livellamento metabolico verso il basso da rivelarsi deleterio in caso di interruzione. Un allenamento costante, che diviene un vero e proprio stile di vita permette un circolo virtuoso di vantaggi, ed è certamente un atteggiamento che può essere mantenuto tutto la vita, anzi sarebbe fortemente auspicabile poterlo fare. Se poi si associa una corretta alimentazione (cosa diversa da una dieta ferrea) allora tanto meglio.

domenica 24 novembre 2013

le arance

Le arancie
Per chi ancora non lo sapesse, le arance andrebbero assunte con regolarità, da tutti, per i loro numerosi benefici. Vi ricordiamo i più importanti


Oggi l’arancia è l’agrume più diffuso al mondo, e se ne coltivano centinaia di varietà. Le arance sono prevalentemente un frutto invernale, in quanto maturano da novembre fino a primavera. I primi frutti si possono raccogliere nel mese di novembre (navelina) e gli ultimi attorno a giugnoluglio (valencia). Un albero adulto può produrre fino a 500 frutti l’anno. L’arancia presenta esternamente una scorza detta pericarpo, inizialmente di colore verde e poi, nel frutto maturo, gialla, arancione o rossastra. La parte interna, detta endocarpo, è polposa e commestibile, ed è divisa in logge o spicchi che contengono il succo che può essere di colore giallo, arancione o rosso. La buccia è caratterizzata da una leggera ruvidezza.
Alcuni frutti sono a polpa bionda (ovale, biondo comune, navelina, washington navel, ecc.), altri a polpa rossa, per via dei pigmenti antocianici in essi contenuti (moro, tarocco, sanguinello). Alcuni frutti sono più grandi e dalla buccia spessa, altri di aspetto più modesto e dalla buccia più sottile, ma più sugosi ed adatti alla spremitura. Solo in Italia più di venti varietà vengono coltivate come frutta da tavola, ed altrettante per spremuta. Le varietà a polpa rossa sembrano conservare pienamente le loro peculiari caratteristiche organolettiche solo quando coltivate in alcune limitate aree della Sicilia orientale. In conseguenza di ciò, le arance rosse sono diffuse principalmente in Europa, mentre nel resto del mondo si trovano in commercio quasi esclusivamente quelle a polpa bionda. Comunque, le arance dolci non vengono consumate solo come frutta fresca ma, soprattutto nel caso di quelle a polpa bionda, vengono utilizzate per la produzione di succhi. Durante la lavorazione delle arance per trarne il succo, la buccia, preventivamente separata dal resto del frutto, viene sfruttata per estrarne l’olio essenziale in essa contenuto e, in misura minore, per la produzione di canditi e frutta essiccata.
La definizione “Arancia rossa di Sicilia” è usata per individuare le varietà di arance a polpa rossa (moro, tarocco e sanguinello) che rispettano quanto previsto nel relativo disciplinare “Arancia rossa di Sicilia IGP” (Indicazione Geografica Protetta). In realtà l’arancia a polpa rossa si coltiva anche in altre regioni, soprattutto in Calabria, dove la produzione supera di 1,7 volte quella della Sicilia.

Proprietà delle arance
Le arance sono un’ottima fonte di vitamine, soprattutto la C e la A, seguite da buona parte delle vitamine del gruppo B (in particolare Tiamina, Riboflavina e Niacina). Il consumo quotidiano di 2 o 3 arance consente di coprire il fabbisogno giornaliero di vitamina C. Grazie al noto ruolo della vitamina C nel contribuire all’efficienza del sistema immunitario, un adeguato consumo di arance nei mesi invernali può essere un ottimo coadiuvante nella prevenzione degli episodi delle malattie da raffreddamento, che colpiscono tipicamente le prime vie aeree. Le arance sono caratterizzate inoltre da un elevato contenuto in bioflavonoidi, sostanze che, assieme alla vitamina C, ricoprono un importante ruolo nella ricostituzione del collagene del tessuto connettivo. Per tale ragione le arance possono favorire il rafforzamento di ossa, denti, cartilagini, tendini e legamenti. Anche il connettivo delle pareti dei vasi sanguigni, soprattutto dei capillari, trae beneficio dall’associazione fra i bioflavonoidi e la vitamina C contenuta nelle arance.
Ciò si traduce in una riduzione della fragilità capillare e della formazione di edemi. Il consumo di arance può quindi essere importante per combattere alcune patologie causate da difficoltà circolatorie come la cellulite, le vene varicose e le emorroidi. In particolare l’arancia a polpa rossa è ricca di antocianine, caratterizzate da un potente effetto nei confronti della fragilità capillare ed un elevato valore nel trattamento degli stati infiammatori. La vitamina C contenuta nelle arance presenta inoltre proprietà antianemiche, in quanto in grado di favorire l’assorbimento del ferro, utile per la formazione dei globuli rossi. I fumatori sono una categoria di persone che può trarre un particolare beneficio dall’assunzione della vitamina C e degli antiossidanti contenuti nelle arance.
L’agrume è anche particolarmente ricco di terpeni che, assunti regolarmente in una dieta ricca di frutta e verdura, si rivelano efficaci nella prevenzione dei tumori del colon, del retto e della mammella. Tra i terpeni una particolare menzione merita il limonene, contenuto nella buccia delle arance, dei limoni e dei pompelmi che, grazie alla sua capacità di contrastare gli effetti degli estrogeni, sembra efficace nel proteggere dal cancro alla mammella. Il callo bianco sotto la buccia dell’arancio contiene inoltre una discreta quantità di fibra alimentare solubile, efficace nella regolazione dell’assorbimento degli zuccheri, dei grassi e delle proteine. È risaputo come la quotidiana assunzione di una sufficiente quantità di fibre alimentari sia funzionale nel prevenire il diabete e l’arteriosclerosi, e favorisca il transito intestinale, riducendo i fenomeni putrefattivi. Il discreto contenuto di vitamine del gruppo B stimola l’appetito, l’accrescimento e la digestione, mentre i caroteni precursori della vitamina A sono utili per il sistema visivo, per la salute della cute, e nella prevenzione di infezioni di varia natura. Le arance, in virtù delle sostanze benefiche in esse contenute, sono dunque caratterizzate da innumerevoli proprietà che spaziano da quelle antiossidanti ed antinvecchiamento, a quelle anticancerogene. Come tutta la frutta acidula le arance sono inoltre utili nel favorire i processi digestivi.
L’infuso della scorza gode infatti di proprietà aperitive e digestive. Un decotto ottenuto da una o due scorzette di arancia in 100 ml di acqua aiuta infatti a combattere la cattiva digestione e diminuisce i dolori di stomaco. L’arancia amara, che si differenzia da quella dolce per una serie di caratteristiche, fra le quali spicca il particolare gusto amaro della polpa, è largamente utilizzata nell’industria alimentare e farmaceutica. Il frutto intero è utilizzato per preparare marmellate e frutta candita, mentre la buccia viene impiegata in liquoreria (curaçao, amari).

L’industria farmaceutica utilizza soprattutto la buccia per la preparazione di vari digestivi e tonici. La scorza dell’arancio amaro, per il suo elevato contenuto di sinefrina, sostanza ad attività simile all’adrenalina, è inoltre utilizzata nell’industria degli integratori alimentari, nella produzione dei cosiddetti “termogenici”, utilizzati per il dimagrimento. In virtù delle molteplici proprietà benefiche delle arance, unite alla loro elevata digeribilità e al loro modesto apporto calorico, il loro consumo dovrebbe essere largamente promosso nell’ottica di una sana alimentazione. Possono essere assunte a colazione, negli spuntini, ed anche in associazione a piatti a base di carne (per l’assorbimento del ferro) e pesce.

giovedì 21 novembre 2013

riabilitazione del ginocchio in acqua


Nuove tecniche che utilizzano i sovraccarichi per pazienti con patologie a carico del ginocchio

Le tecniche di riabilitazione in uso oggi hanno come principale scopo il recupero funzionale del paziente in tempi brevi, atte a ridurre il più possibile sia le complicanze post-operatorie sia a permettere un reinserimento celere in ambiente socio-lavorativo e/o sportivo.

Le metodologie usate si rifanno per la maggior parte a due correnti:
1. riabilitazione con esercizi passivi ed attivi a catena cinetica chiusa;
2. riabilitazione in acqua.

In questo articolo presentiamo una tecnica di riabilitazione innovativa in acqua, con l’uso di sovraccarichi periferici. Tale tecnica permette il recupero totale e in tempi più brevi rispetto alle tecniche tradizionali, cosa di fondamentale importanza per un reinserimento nell’attività senza complicanze muscolo-tendinee o recidive. Tale metodica può essere somministrata sia a sedentari che hanno tutto l’interesse a riprendere precocemente l’attività lavorativa, che ad atleti di qualsiasi livello.
 
Descrizione della tecnica
Fra i compiti che possono essere considerati “istituzionali” nel lavoro del tecnico riabilitatore, spicca quello di dover continuamente ricercare metodi terapeutici di facile attuazione, agenti nel rispetto di precise regole di progressione del carico somministrato e, soprattutto, che non danneggino ulteriormente una struttura che ha già subito insulti traumatici e/o chirurgici.
A questo principio metodologico, negli ultimi anni, si è aggiunto il concetto di riabilitazione/ricondizionamento, cioè la ricerca di programmi riabilitativi che prevedano, oltre le manovre classiche di terapia cinetica, anche l’introduzione, fin dalle prime fasi di lavoro, di particolari movimenti consensuali alla biomeccanica del gesto che il paziente è uso fare.
Tuttavia, a volte, ciò può risultare di difficile realizzazione, come quando ci si trova di fronte ad un paziente con una patologia osteo-articolare complessa, dove il carico gravitario, specie nelle prime fasi della riabilitazione, non è consentito. In questi casi, la moderna cinesiologia consiglia di ricorrere a tecniche di terapia in acqua che permettono di impostare un lavoro programmato che accompagna il paziente dalla prima fase di riabilitazione fino alla fase finale di ricondizionamento, senza sottoporre l’articolazione o l’arto leso ad un carico eccessivo, quale quello gravitario, ma permettendogli nel contempo di riattivare uno schema neuromotorio specifico.
 
Applicazioni pratiche
Veniamo adesso al caso pratico di nostro interesse, cioè quello del computo della forza necessaria a muovere un arto (ad esempio la rotazione di una gamba attorno al ginocchio) in acqua dopo che gli sia stata applicata saldamente una lastra piana per aumentarne la resistenza all’avanzamento. Le tavolette utilizzate in questa metodica riabilitativa sono di materiale plastico, la cui forma, dimensione e collocamento, variano a seconda del carico e dei distretti articolari che si vogliono impegnare.
È quindi possibile, conosciuta la superficie della tavoletta e la velocità di esecuzione del movimento (cronometrabile con buona approssimazione), definire il carico cui è sottoposta la catena cinetica muscolare interessata, oppure viceversa, stabilito il carico, indicare a quale velocità deve essere fatto il movimento. In questo modello sperimentale non è stato considerato, per ovvi motivi esemplificativi, il coefficiente di galleggiamento del corpo umano, dal momento che, nella fase riabilitatoria, si può zavorrare il paziente, allo scopo di annullare questa forza tendente verso l’alto o, come normalmente avviene, il paziente si sostiene ad apposite maniglie.

Descrizione del metodo di lavoro in acqua
Nella pratica riabilitatoria si utilizza una tavoletta di materiale plastico duro, di forma quadrangolare, con sottostante una centina anatomica che la adatta alla forma del distretto muscolare su cui viene collocata, assicurandola con una cinta di Velcro.

Il metodo di lavoro con tavolette in acqua dovrà prevedere tale progressione metodologica:
1- Dinamometria isometrica (valutazione della forza muscolare)
2- Scelta del carico da applicare (quantità, intensità) e quindi delle caratteristiche su cui si baserà il movimento (larghezza della tavoletta, numero e velocità delle ripetizioni)
3- Effettuazione del movimento (dopo aver posto il paziente in vasca nelle condizioni ottimali).

È di fondamentale importanza che il paziente assuma durante la riabilitazione in acqua una posizione verticale, facendo in modo che si assicuri a delle maniglie poste ai lati della vasca: si è infatti in precedenza descritto come sia variabile il carico con il variare della direzione del moto imposto alla tavoletta. Per angoli diversi consigliamo di studiare la resistenza in base alla formula descritta in precedenza.

Esercizi utili
Si descriveranno due soli esercizi, considerati, dal punto di vista didattico, i più esplicativi.
1) Patologia dell’articolazione coxo femorale: riabilitazione del movimento di flessione della coscia sul bacino.
La tavoletta va posizionata in senso parallelo alla coscia, distalmente all’articolazione dell’anca, poi si procede all’esercizio. Sulla base di quanto in precedenza detto, con una tavoletta di cm 20×20 sottoposta a movimento di semirotazione su un asse fisso (in questo caso l’asse è quello passante per l’articolazione coxo-femorale) a circa 2 m/s il paziente deve vincere una resistenza di 3,32 Kg ogni rotazione, pertanto, dopo 10 ripetizioni, egli avrà spostato circa 33 Kg.

2) Patologia dell’articolazione femoro tibiale: “movimento tipo catena cinetica” di flessione semi completa dell’anca e di estensione del ginocchio. È possibile far compiere ad un muscolo un movimento complesso: il quadricipite femorale è flessore della coscia sul bacino ed estensore della gamba sulla coscia (estensore del ginocchio).

Le tavolette utilizzate possono essere di diverse dimensioni, onde somministrare carichi differenziati. Quindi, in conclusione, le due condizioni che possono far aumentare il carico di lavoro sono: l’aumento della velocità del movimento in acqua e l’aumento delle dimensioni di superficie esposta alla resistenza della tavoletta. Allo scopo, si possono utilizzare delle appendici laterali da applicare alla tavoletta stessa

mercoledì 20 novembre 2013

LA SCHEDA IN PALESTRA


Momento fondamentale nella vita di un frequentatore di palestre, il cambio scheda rappresenta un appuntamento decisivo al fine dell’ottenimento dei migliori risultati


Spesso, in palestra, l’istruttore si concentra sulla programmazione dell’allenamento iniziale, con il nuovo cliente, ma si trascurano poi quei controlli periodici che permettono invece di monitorare gli sviluppi, i miglioramenti, il raggiungimento o meno degli obiettivi prefissati e quindi di intervenire, modificandolo e rinnovandolo, sul programma d’allenamento in modo da adeguarlo alle nuovi condizioni di forma fin lì ottenute. Potremmo quasi dire che all’appuntamento periodico si presenta una nuova persona, differente dalla precedente dal punto di vista sportivo, non solo a causa delle modificazioni morfologiche e fisiologiche provocate dagli stimoli a cui il suo organismo si è sottoposto fino al quel momento, ma anche per l’esperienza di allenamento e maggiore consapevolezza maturati nel periodo precedente.
Tutto questo, inevitabilmente, permetterà al cliente di dialogare con l’istruttore attraverso una conoscenza superiore delle proprie sensazioni, difficoltà, limiti e ambizioni e di conseguenza fornendogli molte più informazioni che, sommate ai riscontri oggettivi, permetteranno all’istruttore di adattare la scheda alle nuove condizioni. L’errore più comune che si commette in questi casi è quello di modificare periodicamente il programma sulla base di una presunta sequenza logica degli esercizi ma senza che ci sia davvero un confronto con il soggetto a cui si rivolge e senza alcun monitoraggio dei risultati.
Devono cioè essere evitate quelle tabelle preconfezionate e numerate che vengono proposte indiscriminatamente a tutti senza alcuna verifica oggettiva. Così come è indispensabile stilare la scheda numero uno dopo aver raccolto una serie di informazioni da parte del soggetto interessato, nello stesso modo è obbligatorio, procedendo con lo stesso criterio, ricavare ed analizzare i nuovi dati, che permetteranno di valutare gli adattamenti ottenuti e le impressioni ricavate durante l’allenamento, anche per le schede numero due, tre, quattro ecc.
Una delle cause principali dell’alto tasso di abbandoni in palestra deriva dalla trascuratezza dei clienti da parte degli istruttori. Basti osservare uno schedario, presente in una sala attrezzi, per rendersi conto di quante siano le schede numero 1, 2, 3 ecc. e come invece siano molte meno quelle con un numero cronologico elevato. E’ difficile credere che questo accada perché nel frattempo un utente è diventato sufficientemente esperto da poter rinunciare alla guida dell’istruttore.

La durata di un programma d’allenamento
Si discute frequentemente su quale debba essere la durata di un programma d’allenamento in palestra, considerando le richieste provenienti dalle differenti tipologie di utenza. E’ infatti curioso osservare come un frequentatore giovane abbia il desiderio di cambiare frequentemente la propria scheda – perché annoiato da quella precedente oppure perché ha sentito qualche amico parlare di un metodo più efficace per allenare questo o quel gruppo muscolare – mentre al contrario, un soggetto anagraficamente anziano non vorrebbe mai rinunciare al proprio programma per la sola preoccupazione di dover apprendere nuovi esercizi che forse lo metteranno in difficoltà.
Alcune ricerche hanno dimostrato che dopo un certo periodo di tempo di circa 6/8 settimane di allenamento costante l’organismo, sottoposto a determinate sollecitazioni, non reagisce più efficacemente agli stimoli provocati, innescando così una sorta di assuefazione che rischia di comprometterne gli effetti desiderati. Questo, dunque, dovrebbe essere considerato il tempo medio per calcolare la durata di una scheda d’allenamento. Ogni due mesi, al massimo, sempreché la frequenza sia regolare, si dovrebbe sostituire il vecchio programma con uno nuovo che tenga conto non solo dei cambiamenti avvenuti nel periodo precedente ma anche delle istanze provenienti dal cliente. Naturalmente questo lasso di tempo è da considerarsi anche il periodo minimo necessario per produrre i massimi risultati attraverso gli esercizi di un programma, al di sotto del quale non verrebbero sfruttati completamente.

Come sostituire il vecchio programma
Il metodo migliore per procedere adeguatamente al rinnovo del programma è quello di rispettare gli stessi criteri utilizzati per stilare il primo. Come esposto in un precedente articolo, le informazioni che occorrono all’istruttore vengono ricavate attraverso tre fasi:
- raccolta dei dati personali
- anamnesi sportiva e traumatologia
- esame obiettivo motorio.

Fermo restando che i principali dati relativi al cliente sono già stati archiviati, e l’anamnesi sportiva e traumatologica si arricchisce soltanto in presenza di nuovi eventi degni di nota (per esempio un trauma di tipo ortopedico, o la pratica di un nuovo sport), ci si concentrerà sull’esame obiettivo motorio. Questo permette, attraverso una batteria di test, di valutare oggettivamente i risultati ottenuti con il programma appena concluso e quindi di stilarne uno nuovo adatto alle nuove condizioni di forma raggiunte. I test che possono essere proposti sono moltissimi, il suggerimento è quello di utilizzare quelli più adeguati a valutare le modificazioni indotte (test di forza, di resistenza, di mobilità ecc.).
Nel caso di programmi per il fitness, o per lo sviluppo muscolare o per il dimagrimento, si suggerisce di adottare test per la valutazione della composizione corporea – i più utilizzati in palestra sono la plicometria e l’impedenziometria – che consentono di monitorare le modificazioni in termini di aumento della massa muscolare e diminuzione del pannicolo adiposo. Oltre ai riscontri oggettivi è fondamentale, come detto, raccogliere le impressioni e le sensazioni del soggetto interessato che, non solo contribuiranno ad orientare meglio le scelte da fare per l’elaborazione della nuova scheda d’allenamento, ma rafforzeranno quel rapporto di relazione interpersonale tra istruttore e allievo che avrà lo scopo di ottenere un incremento della consapevolezza rispetto a quello che si sta svolgendo, della motivazione, della fiducia nei confronti dell’istruttore e conseguentemente della percezione di elevata professionalità che poi si trasformerà in fidelizzazione del cliente.
Non scordiamo inoltre che sostituire la vecchia scheda con una nuova ha lo scopo anche di evitare il rischio, molto frequente, di far annoiare l’utente che svolge sempre gli stessi esercizi. L’allenamento in palestra è infatti considerato “ripetitivo” – non a caso si parla di ripetizioni – ed è dunque necessario variarlo periodicamente anche per mantenere alta l’attenzione con cui ci si allena, scongiurando quegli automatismi che sfocerebbero in uno scadimento dell’allenamento stesso. Ogni istruttore avrà in effetti potuto osservare che in occasione del “cambio scheda” si rinnova quell’entusiasmo iniziale, da parte del cliente, che nel frattempo si era attenuato dandogli, oltretutto, la sensazione di essere seguito e di essere importante per la palestra e non, al contrario, completamente dimenticato, come purtroppo spesso accade.


martedì 19 novembre 2013

LA FRUTTA

Un alimento che fa bene (quasi) sempre, ma che può dare problemi di digeribilità e che si differenzia in bio e convenzionale

Frutta come ultima dolce parte del pranzo, ma anche come immagine irrinunciabile di freschezza e naturalezza. Se provassimo a chiedere a cosa si associa un cibo naturale e salutare la frutta sarebbe certo al primo posto. Ci sono scelte filosofiche di vita che si basano sul solo uso di frutta e verdura (fruttariani), regime che sinceramente non mi sentirei di suggerire ad un atleta in cerca della massima performance, ma che probabilmente permetterebbe di sopravvivere su di un’isola deserta; questo sperando che ci sia anche della frutta secca, del cocco o del mango o avogado (in modo da rifornirci per bene di buoni grassi e qualche proteina); sarebbe il caso di aggiungere anche qualche ovetto (se fossero di quaglia sarebbero fantastiche per rinforzare il sistema immunitario) e magari un pesciolino ogni tanto, ed ecco che avremmo ottenuto la perfetta dieta paleolitica (di cui tanto si parla adesso… ma questa è un’altra storia).

Frutta sì, frutta no
Ma torniamo alla frutta, la sua immagine edonistica è per la maggioranza dei casi vera, ma ci sono situazioni in cui anche la frutta può essere un problema. Per esempio nelle patologie colitiche molta frutta va evitata (kiwi, melone, ciliegie, ribes, frutti di bosco, fichi, prugne fresche, banane, albicocche, uva, agrumi, anguria), oppure chi soffre di trigliceridemia dovrebbe limitarla, infatti i trigliceridi sono grassi (lipidi) circolanti nel sangue, provenienti in parte dalla dieta ed in parte dalla liberazione di lipidi dalle cellule adipose ed epatiche. Le fonti alimentari di trigliceridi sono rappresentate dai carboidrati, piuttosto che dai grassi dei cibi, in quanto gli zuccheri non hanno un sistema di immagazzinamento efficace (solo un po’ di glicogeno riesce ad essere contenuto nel fegato e nei muscoli), mentre per i lipidi lo stoccaggio è più adeguato. Per tale motivo i carboidrati assorbiti vengono trasformati in trigliceridi nel fegato e poi inviati alle cellule adipose. In situazioni quali il diabete o l’insulino-resistenza questo meccanismo si inceppa, per cui si ha accumulo di trigliceridi nelle cellule adipose (steatosi epatica) ed eccesso di lipidi nel sangue. Purtroppo la frutta si inserisce perfettamente in questo quadro e nei casi di trigliceridemia difficilmente si suggeriscono più di 1 o 2 frutti al giorno.
Chiaramente non occorre fare di tutta l’erba, pardon frutta, un fascio e una prima divisione potrebbe essere fra:
- frutta polposa acidula (mele, pere, albicocche, ciliegie, arance, kiwi, pesche, limoni, fragole, pompelmi)
- frutta polposa zuccherina (banane, fichi, prugne, anguria, melone, uva, cachi)
- frutta amilacea o farinosa (castagne)
- frutta oleosa (noci, nocciole, mandorle, olive).

La digeribilità di ciascuna di queste tipologie cambia notevolmente anche e soprattutto in base alle caratteristiche del soggetto: più di una persona (spesso anche per disabitudine) prova pesantezza e gonfiore (fermentazione) all’ingestione di frutta anche “apparentemente” molto digeribile come la mela o l’arancio.

Il contenuto della frutta
Al di là di queste considerazioni (va da sé che la frutta cotta è più digeribile di quella fresca ma perde buona parte delle vitamine), sulla frutta è importante sottolineare il contenuto di vitamina C (85 mg nel kiwi e 54 nelle clementine) oppure il contenuto di potassio (400 mg nel kiwi e 320 nelle albicocche) e, al contrario di quanto si creda, anche di calcio (49 mg per i lamponi e arance e 131 per le noci). Anche il contenuto di fibre può essere importante (da ricordarsi che sono fibre solubili e che comunque possono dare fermentazione e andrebbero abbinate a delle insolubili). Comunque abbiamo un 7 g per i lamponi o 5 g per i fichi d’india. Il contenuto di acqua è quasi sempre sull’80% ed il contenuto di zuccheri varia da 2% per i limoni, 3,7% per l’anguria fino a 17% per i mandarini e 15% per l’uva. Da sottolineare e ricordare che tutti i “succhi o nettari di frutta”, per quanto naturali, sono privati della componente di fibre, questo significa che il loro impatto glicemico è più elevato, inoltre tutte le calorie “liquide” hanno molta meno capacità saziante rispetto a quelle solide.

Al di là dei numeri
Quelli esposti sono solo “freddi numeri”, infatti chi mi conosce sa che odio la matematica applicata alle calorie, credo molto nell’impatto glicemico, che solitamente si misura in base all’indice glicemico, ma questo valore su alcuni frutti ci porta fuori pista in quanto è più corretto analizzare il carico glicemico (valutando l’indice glicemico moltiplicato i grammi di carboidrati presenti in 100g di prodotto diviso 100; in questo modo si ottiene un indice più qualitativo).
Se proviamo ad applicarlo, abbiamo che:
Arancia IG 63 CG 4,91
Cocomero IG 103 CG 3,81
Uva IG 66 CG 0,3
Ciliegie IG 32 CG 2,88

Si capisce che, a parte l’uva, gli altri frutti hanno un impatto rapportato al peso che è senza dubbio trascurabile. Questo non significa che la frutta, in caso si desideri dimagrire, debba essere sempre mangiata senza ritegno, ma certamente va assunta con raziocinio. Personalmente non sono d’accordo di usarla durante i pasti e la trovo ottima negli spuntini (magari associata a della frutta secca). Ma la discussione sulla frutta può assumere svariati aspetti e uno dei più interessanti (ed in comune con la verdura) è sulla differenza di usare quella biologica rispetto alla “convenzionale”. La questionè è molto attuale perché da una parte troviamo notizie come quella apparsa su ACS, il bisettimanale del Journal of Agricultural and Food Chemistry, dove si afferma che fra più prodotti coltivati in modo convenzionale o biologico non si sono rilevate differenze sostanziali dei principali principi attivi (soprattutto vitamine e antiossidanti in genere). Di altra opinione uno studio italiano, portato avanti con campi sperimentali distribuiti nel Metapontino, nel Cesenate e nel Veronese . In tutti e tre i casi la frutta biologica si è rivelata “differente” rispetto alla convenzionale (polpa più consistente, più dolce, maggiore contenuto di vit C, minore luminosità e colore più scuro). Abbiamo poi un’autorevole opinione del settimanale TIMES che mette a confronto convenzionale e “Bio” parlando di latte, uova, carne ecc. Per la frutta dice: “Biologica: il rischio di pesticidi è basso, i vegetali arrivano da zone vicine (e quindi non subiscono danni e impoverimenti dovuti ai trasporti) e sono di stagione: quindi il sapore è migliore e se ne avvantaggia anche il pianeta. Convenzionale: il prezzo è più basso, e poi non tutti hanno la fortuna di avere un mercato contadino nei pressi di casa. Non c’è grande differenza dal punto di vista nutrizionale rispetto al bio. Chi vince: la frutta e verdura convenzionale. Mangiare frutta è meglio che non mangiarne affatto. Il prezzo conta, anche se conta pure l’ambiente”.

Un’osservazione che in parte può giustificare i diversi risultati ed i punti di vista differenti, può essere dovuto al fatto che secondo le varie normative nazionali i protocolli bio possono variare; ad esempio oltreoceano c’è una reazione ad una cultura più intensiva. In Italia invece le coltivazioni biologiche di frutta e verdura fanno concorrenza a coltivazioni normali che sono già normalmente di buona qualità. Alla fine la differenza è principalmente psicologica ed in parte di sapore (la frutta convenzionale è solitamente più ricca di acqua, quindi, a parità di peso, più densa di sapori e nutrimenti). Occorre anche dire che ora il biologico “tira”, è molto di moda, chi lo produce (al di là di motivazioni etiche o filosofiche) ha un certo guadagno, ed è maggiormente disposto a produrlo da quando il consumatore è disposto a pagarne un prezzo maggiore. Da parte del consumatore c’è uno spostamento verso il biologico corrispondente alle ondate delle grandi crisi sanitarie mediatiche. Rimane una motivazione etica di mercato, cioè non trovo giusto, ammesso e non concesso che il biologico sia salutare ed il convenzionale no (o comunque meno), che per mangiare sano occorra essere ricchi e spendere tanto. Se veramente si provasse che esiste una superiorità misurabile in salute (e non solo in gusto e godimento psicologico) sarebbe opportuno che tutte le coltivazioni fossero BIO; ma ho paura che una scelta di questo tipo manderebbe in tilt il sistema dove invece c’è necessità di grandi quantitativi di cibo a costi non proibitivi. Personalmente non sono un “patito” di frutta e verdura bio, trovo più differenza in altri prodotti tipo la carne (quella di ruspanti o di animali da pascolo ha una fragranza e una consistenza molto diversa). Occorre poi sottolineare che i protocolli di coltivazione usati per le coltivazioni convenzionali sono costantemente rivisti e aggiornati sia nella tipologia che nei quantitativi usati; il problema potrebbe invece essere la grande apertura del mercato a merce proveniente in pratica da tutto il mondo. È infatti notizia recente la comunicazione che durante analisi epidemiologiche di routine si sono riscontrati nei tessuti di persone anomali livelli di DDT, un pesticida che nelle coltivazioni europee è stato eliminato già negli anni ‘60, la presunta giustificazione potrebbe venire dal fatto che tale molecola viene invece ancora utilizzata in alcuni paesi di area africana e asiatica i cui prodotti agricoli arrivano in vendita anche in Europa. Come si vede, la realtà del mondo globale richiede sempre più una rete di norme e conoscenze che permetta ai mercati (ed ai consumatori) di effettuare scelte consapevoli e cercare di non essere troppo guidate dalla pubblicità.


lunedì 18 novembre 2013

GLI INTEGRATORI ALIMENTARI



Per far sì che migliorino le performance sportive e la salute, gli integratori vanno assunti con misura e consapevolezza. La facilità con cui gli integratori sono reperibili su Internet a prezzo stracciato, ha fatto sì che il loro utilizzo sia aumentato notevolmente ma ha creato dei grossi problemi, decretando la crisi e la chiusura di parecchi negozi. Quando l’utente si rivolgeva o si rivolge al negoziante, il più delle volte viene anche consigliato ed indirizzato nell’acquisto dei supplementi mentre sul web si fa tutto per sentito dire o in base a ciò che si legge sui forum. La prima cosa che mi preme sottolineare è che il termine stesso INTEGRATORE ALIMENTARE sta ad indicare che questo prodotto serve ad integrare eventuali carenze nutrizionali; quindi è assolutamente inutile e, a volte, addirittura dannoso utilizzarli a sproposito, senza prima aver ottimizzato la dieta in rapporto agli obiettivi del soggetto. Dico questo perché vedo costantemente, nelle palestre, integratori che vengono suggeriti a casaccio dagli istruttori: il caso tipico è quello delle proteine in polvere, per le quali, in quasi tutte le palestre, viene consigliato un apporto di 30 g a metà mattina e 30 a metà pomeriggio; ma in rapporto a che cosa? Questa integrazione può essere molto utile in caso di insufficiente apporto alimentare, ma come faccio a stabilire ciò se prima non ho valutato la massa magra del soggetto ed il suo schema alimentare giornaliero? Partiamo dal presupposto che qualunque cosa, anche la più innocua, è utile quando colma una carenza ed inutile, o dannosa, se in eccesso.
Vedo costantemente due atteggiamenti opposti nei confronti degli integratori:
- una categoria di soggetti che non si allena se non è supportata dai supplementi ergogenici.
- una seconda categoria che boccia a priori l’utilizzo di qualsiasi integrazione.



Entrambe le posizioni sono deleterie per questo settore. Il primo gruppo di soggetti, spesso si allena poco o male, ma sa tutto, o crede di saperlo, sugli integratori. In questo caso avviene uno spostamento di priorità, si dà cioè più valore all’integrazione che all’allenamento. In questo atteggiamento io vedo l’anticamera del ricorso al doping. Il secondo gruppo di soggetti guarda agli integratori come al peggiore dei mali, senza minimamente documentarsi e, quasi sempre, è gente che non si allena, che beve alcolici e fuma e, magari, utilizza svariati tipi di farmaci. Vedo poi genitori disperati perché i loro figli utilizzano dei supplementi alimentari, mentre è perfettamente normale che gli stessi si ubriachino ogni fine settimana. Capisco in parte il loro atteggiamento, in quanto, al momento, questo è un mercato “selvaggio”, nel quale è difficile districarsi, anche per persone esperte, in quanto vengono prodotti continuamente nuovi integratori, molti illegali in Italia, ma facilmente reperibili su Internet, dei quali, spesso, non è chiaro il contenuto. Ricordiamoci che la legislazione americana permette quelle che vengono chiamate “Proprietary blends”, formulazioni contenenti due o più miscele di prodotti, di cui sono proprietarie le aziende, le sole a conoscere le formulazioni, naturalmente approvate dal F.D.A., ma non indicate in tabella. Se poi un genitore si rivolge al medico di fiducia, il più delle volte, trova un ostracismo totale nei confronti degli integratori. Questo è un altro punto su cui vorrei soffermarmi: l’assoluta mancanza di collaborazione tra l’utente, i centri fitness e i medici. Sarebbe opportuno che ogni palestra avesse un medico di riferimento, con il quale valutare se integrare, cosa integrare e quando integrare. Vi è poi una carenza cronica di personale competente nel campo dell’integrazione e quindi colgo l’occasione per lanciare un appello: formiamo dei professionisti in questo settore, obbligandoli ad almeno un aggiornamento annuale e creando delle basi collaborative con i medici. Fatta questa lunga premessa, mi permetto di darvi dei consigli sul modo di approcciarsi all’uso degli integratori.
 


Consigli pratici sugli integratori
1) Diamo il giusto valore agli integratori che rappresentano un aiuto ma, in nessun modo, possono o devono sostituire allenamento e dieta.
2) Prima di utilizzare un qualsiasi integratore accertatevi che il vostro schema alimentare sia corretto.
3) Fatevi consigliare da una persona seria ed esperta con la quale stabilire tempi e dosaggi.
4) Consultate lo schema di integrazione con il vostro medico di fiducia, meglio se è uno specialista in medicina dello sport. Potrebbe anche non essere esperto di integratori, ma sicuramente vi saprà dire se potete o meno usarli, perché potreste avere delle patologie o stare usando dei farmaci, con i quali determinati integratori sono incompatibili.
5) Utilizzate solo integratori che riportino chiaramente il contenuto sull’etichetta.
6) Utilizzate solo integratori la cui efficacia sia provata, non buttatevi a capofitto sulla novità, solo perché ben pubblicizzata e propagandata.
7) Non date retta ai consigli degli amici o al tam tam che corre su internet attraverso i forum, perché sono fuorvianti.
Detto ciò, e premettendo ancora una volta che qualsiasi integrazione debba essere visionata da un medico, vi elenco quelli che, a parere mio, sono gli integratori più interessanti per uno sportivo:
1) OMEGA 3. Grazie alla loro capacità di indurre il corpo a produrre buoni eicosanoidi, fanno tutto ciò che si può immaginare in termini positivi per la salute; badate sempre che sull’etichetta sia riportata la dicitura “a distillazione molecolare”, questo vi garantisce un elevato grado di purezza, diversamente vi ingoiate gli scarichi industriali riversati nel mare. Verificate che la concentrazione di Epa e Dha del prodotto sia superiore al 60% e che il rapporto tra i due sia 2:1; inoltre la forma TG (trigliceride) è più costosa della forma EE (estere Etilico), perché richiede un passaggio di lavorazione supplementare. La forma EE è riconosciuta dall’organismo come innaturale e quindi meno assimilabile. Esiste un ente internazionale che si chiama IFOS (International Fish Oil Standards), il quale dà un punteggio (visibile sul loro sito), in rapporto alla qualità dell’integratore di omega 3.
2) BCAA, rappresentano gli aminoacidi che più vengono usurati durante le attività anaerobico – lattacide, quindi hanno una funzione anticatabolica; evitate di comprare integratori di bcaa o di altro col marchio cinese, perché di scarsa qualità, mentre i marchi Kiowa e Degussa sono indice di ottima qualità.
3) GLUTAMMINA, è l’aminoacido più copioso nel corpo umano, presente soprattutto nel muscolo e nel sistema immunitario, inoltre è alcalinizzante.
4) OSSIDO NITRICO prodotto a partire dall’aminoacido arginina, grazie alle sue proprietà vasodilatatorie, riesce a migliorare l’afflusso di sangue ai muscoli, abbassa la pressione arteriosa e facilita il lavoro di tutti gli organi che necessitano di un microcircolo efficiente.
5) PROTEINE IN POLVERE. Qualora si verificasse la necessità di un surplus proteico, queste rappresentano un valido aiuto, in quanto non sovraccaricano l’apparato digerente, sono di sapore piacevole e molto pratiche. Dobbiamo imparare, per quanto riguarda le polveri proteiche, a ragionare come facciamo per i carboidrati: esistono proteine che forniscono un veloce rilascio di aminoacidi nel flusso ematico, le Whey protein o proteine del siero e altre, la caseina e i blend proteici, che danno un rilascio prolungato degli stessi e differenziarne l’utilizzo nei vari momenti della giornata.
Le proteine in polvere rappresentano uno degli integratori più venduti: cerchiamo di essere critici nell’acquistarle, la percentuale proteica deve essere elevata, mentre quella di carboidrati e grassi bassa. Ricordiamoci però che la legislazione italiana permette una tolleranza del 15%, questo significa che le proteine che voi pensate essere al 90% in realtà possono essere al 75%, mentre invece ciò non è permesso dalla legge americana. La percentuale proteica non è però l’unico parametro da valutare: sappiamo, ad esempio, che le proteine del siero del latte ottenute per scambio ionico, pur presentando un’altissima percentuale proteica, sono povere di alcuni componenti importanti – quali lattoferrine, immunoglobuline e glicomacropeptidi – che vengono perduti o denaturati durante le fasi produttive (il processo di scambio ionico separa le proteine in base alla loro carica elettrica, mediante l’impiego di alcune sostanze chimiche). Tali frazioni vengono invece conservate con i metodi di filtrazione usati per produrre proteine del siero concentrate, quali le tecniche di microfiltrazione ed ultrafiltrazione, che utilizzano filtri per separare grassi e lattosio dalla proteina, senza danneggiarla. Però, come detto in precedenza, le Whey protein ultrafiltrate e microfiltrate tendono ad avere un contenuto proteico inferiore (circa l’80%) rispetto a quelle a scambio ionico (che raggiungono il 90%). Il miglior compromesso sono le Whey protein ottenute mediante microfiltrazione a flusso incrociato, che permettono di raggiungere tenori proteici prossimi al 90% pur conservando componenti importanti quali lattoferrine e macropeptidi.
6) MULTIVITAMINICO, utile perché a causa dei processi di conservazione e stoccaggio degli alimenti è molto difficile assumere la quantità ottimale di vitamine.
7) ANTIOSSIDANTI, l’esercizio fisico aumenta l’apporto di ossigeno ai tessuti e quindi incrementa la produzione di radicali liberi; è vero che il soggetto allenato ha una maggior produzione di antiossidanti endogeni, primo tra tutti il glutatione, ma può essere utile aiutarsi con l’utilizzo di antiossidanti.
 8) MINERALI ALCALINIZZANTI, l’esercizio fisico, lo stress, l’alimentazione, specie se iperproteica, producono scorie che acidificano il ph sanguigno, il che, alla lunga, può creare seri problemi di salute.
L’uso degli integratori andrebbe sempre ciclizzato, in accordo con il medico di fiducia.

  • In conclusione non dobbiamo né demonizzare né osannare gli integratori, ma valutarli per ciò che sono: un mezzo per migliorare la performance e la salute, a patto che vengano utilizzati con criterio, tenendo presente che la salute e la vita stessa si basano sull’omeostasi, un equilibrio che non dobbiamo in alcun modo alterare.

domenica 17 novembre 2013

il pugilato





Per preparare il fisico a un incontro di pugilato l’allenamento con i sovraccarichi è fondamentale. Grazie ad esso aumentano la forza esplosiva e la tonicità


L’origine del pugilato risale alla notte dei tempi. È uno sport di combattimento individuale in cui due atleti si affrontano sul ring usando i pugni come mezzo per colpire e sconfiggere l’avversario e/o metterlo al tappeto. Uno dei fattori più importanti che valuteremo insieme in questo articolo è la preparazione fisica con l’uso di sovraccarichi tipo bilancieri, manubri, kettlebell, ecc., per aumentare la forza esplosiva e la tonicità del tessuto muscolare scheletrico evitando nello stesso tempo l’aumento del peso corporeo.
Questo per il semplice fatto che il pugilato è suddiviso in categorie di peso. L’unica eccezione è per la categoria dei pesi massimi, quindi per pugili oltre i kg 90,719 il limite massimo di peso non è presente. In questo caso, la possibilità di aumentare la massa muscolare deve essere attentamente valutata per non alterare la tecnica pugilistica e per evitare un rallentamento dei movimenti di spostamento.

Bando all’improvvisazione
Prima di poter sviluppare un programma di potenziamento mirato, bisogna valutare insieme al trainer del pugile gli obiettivi della stagione dell’atleta e le “condizioni” di partenza, in modo da poter pianificare un lavoro ben calibrato, evitando spiacevoli sorprese durante la preparazione. Organizzare i tempi, le modalità e le quantità dei carichi allenanti e come somministrarli non è cosa facile se va effettuata basandosi solo sull’esperienza da campo! La maggior parte del lavoro fisico è programmato a livello personalizzato e la risposta del carico esterno è fisiologicamente diversa da persona a persona.
Voglio ricordare che stiamo parlando di atleti che salgono sul ring per affrontare una battaglia psico-fisica il più delle volte estenuante, rischiando molto a discapito anche della propria incolumità. Dico questo per evitare di improvvisarsi preparatore e/o proporre tabelle fotocopia lette o sentite in tv (o perché le faceva uno pseudo-cugino ex campione di non si sa bene cosa!), senza una linea guida scientifica o basata su studi comprovati. Ricordo anche per l’atleta che chiede collaborazione di un preparatore di informarsi sul tipo di studi ed esperienze effettivamente svolte dal professionista (ad esempio Laurea in discipline sportive, Laurea in Scienze Specialistiche dello Sport, ecc.).



Allenamenti per pugili professionisti
In qualità di preparatore fisico nell’ambito del pugilato ho avuto il piacere di lavorare con alcuni maestri italiani di livello nazionale ed internazionale molto preparati e, cosa importante, disposti ad investire su nuove metodologie di preparazione. Così facendo i risultati non sono tardati ad arrivare! In questo articolo vengono spiegati metodi per pugili professionisti e la tabella esempio che più avanti andrò a proporvi, già testata da atleti da me seguiti, è diretta a questo target, vista l’alta intensità con cui vanno svolte le esercitazioni. Comunque, inserisco anche una tabella per iniziare un percorso di preparazione con l’utilizzo di esercizi con medio-bassa intensità, dando così la possibilità di cominciare ad approcciare un lavoro fisico per gradi.
Per un pugile di livello professionista una media di 6/8 allenamenti a settimana è il minimo per poter affrontare un incontro di livello internazionale in ottime condizioni (poi ci sono da aggiungere le “sedute di recupero”, quindi si può arrivare a 10/12 sedute a settimana!). Un fattore importante da considerare è la giusta dose di recupero (tapering), così da poter effettuare le esercitazioni in uno stato ottimale per assimilare i carichi.
Altro punto da considerare è la massofisioterapia rieducativa. Il pugilato è uno sport di contatto ed altamente spossante sotto tutti i punti di vista muscolo-scheletrico-articolari. Una supervisione settimanale di un massofisioterapista sportivo è l’ideale per prevenire o curare eventuali “usure” del fisico dell’atleta. Passando alla pratica, la base delle tabelle è prevalentemente su esercitazioni con kettlebell; l’attrezzo principe per svolgere lavori fisici estremi aumentando drasticamente la propriocettività e la capacità di trasformare la fisicità dell’atleta con muscoli esplosivi e “granitici”, nonché dando una resistenza muscolare visto la durata prolungata delle serie. La miscela di lavori con kettlebell, bulgarian bags, palle mediche e bilancieri/manubri ad esempio porta il soggetto ad intensità tali da aiutarlo nei momenti topici del combattimento.

Veniamo al primo esempio di tabella di base.
Può essere svolta due volte alla settimana. Naturalmente la sessione è aggiunta al computo delle unità di allenamento settimanali tecnico/tattiche fatte con il maestro. Indicativamente in una ipotetica settimana di preparazione “lontano dall’evento”, può essere inserita in questo modo:
Il suggerimento che voglio dare è di iniziare con pesi moderati (un kettlebell da 12kg è già sufficiente) così da abituarvi al lavoro. La durata della seduta è circa 45’ e le pause sono svolte in forma attiva (ad esempio fate qualche combinazione a vuoto). Le esercitazioni vanno svolte con massima dinamicità e tecnica perfetta!

Passiamo ora ad un esempio di seduta per atleti evoluti che utilizza esercitazioni a corpo libero e con il kettlebell. Anche in questo caso la disposizione della tabella va inserita con metodo ed indicativamente può essere collocata nell’ipotetica settimana “lontano dall’evento” con questa tempistica:
N.B.: l’intensità delle sedute di boxe e di pesi debbono categoricamente essere inserite e miscelate con cura da parte del preparatore così da evitare il sovrallenamento! Questa settimana di lavoro non è un gioco!
Al termine svolgere lavoro di scarico per la colonna vertebrale, circa 10’. La tabella è tarata sull’utilizzo di un kettlebell da 24 chilogrammi. Prima di iniziare questo tipo di allenamenti sottoponetevi ad una visita medico sportiva, così successivamente da poter spingere senza problemi il vostro fisico al massimo. Come dico sempre all’inizio di un duro lavoro: buon divertimento!

venerdì 15 novembre 2013

osteoporosi






Oggi si assiste ad una rivalutazione del periodo della terza età da parte delle figure impegnate a promuovere il fitness e il benessere delle persone, nel segno dell’invecchiamento attivo
L’osteoporosi possiamo definirla come “perdita di consistenza del tessuto osseo”. Il tessuto viene distrutto da osteoclasti e costruito da osteoblasti: la presenza di osteoporosi vede un’alta prevalenza di osteoclasti. L’osteoporosi colpisce maggiormente le donne e tende a comparire in combinazione con la menopausa a causa della diminuzione di produzione di ormoni estrogeni da parte dell’organismo. Questa malattia vede uno sconvolgimento del tessuto dello scheletro: insorge una perdita di massa rispetto al volume, l’osso rimane invariato nella forma ma pesa meno a causa di perdita di materia interna. La prima conseguenza del soggetto osteoporotico riguarda l’alterazione delle curve fisiologiche del rachide con modificazione del tono dei muscoli posturali. Frequentemente presentano stati dolorosi a carico di L4-L5 e L5-S1.
L’esame specifico
Per monitorare questa malattia l’esame da eseguire è la densitometria ossea. Un dato importante di questo esame è il T-score che ci può dare indicazioni fondamentali:
T – score >= a -1: NORMALE
T – score tra -1.0 e -2.5: OSTEOPENIA, una condizione ossea per cui vi è una densità minerale al di sotto dei valori di normalità, ma che ancora non può considerarsi osteoporosi manifesta.
T – score <= a -2.5: OSTEOPOROSI.
Muoversi fa bene
Fare attività fisica aiuta i soggetti colpiti da osteoporosi. Il livello di fitness può essere inizialmente paragonato a 45’ al giorno di camminata, ma in seguito l’intensità deve aumentare se non si vuole che cessi l’effetto osteogenico positivo (abilità di sintetizzare nuovo tessuto osseo attraverso cellule ossee vive). Anche l’attività con i pesi, soprattutto quella che mira all’incremento della forza, ha effetti positivi sulla conservazione e incremento della massa ossea.  È quindi utile non allenare solo le componenti “rosse” con carichi leggeri e alto numero di ripetizioni ma bisogna inserire lavori anche con carichi pesanti.
Prima di entrare nel dettaglio vediamo alcuni consigli generali:
- Potenziare i muscoli posturali
- Aumentare la mobilità articolare
- Lavorare sulla propriocettività: diminuisce la possibilità di cadute e quindi di fratture
- Esercizi base e movimenti semplici: poche macchine per lavoro isotonico
- Aumentare progressivamente il carico
- Camminare all’aperto su diverse superfici
- Se l’attività fisica viene sospesa, dopo poco tempo cessa l’effetto osteogenico.
Esercizi aerobici
- Frequenza: 3-5 giorni a settimana. Gli esercizi aerobici devono essere eseguiti in aggiunta all’attività fisica giornaliera ed in modo complementare rispetto agli esercizi di forza.
- Intensità: 75-85% della FCmax, iniziando con percentuali inferiori per le prime 4-6 settimane e progredendo gradualmente.
- Tempo: idealmente non meno di 30’. Le persone significativamente fuori forma possono iniziare con soli 5’ e aumentare gradualmente la durata di circa 10% a settimana.
- Tipo: esercizi in carico di peso corporeo come la camminata e la corsa su tapis roulant o stepper. Prescrivere esercizi di corsa con cautela trattandosi di un’attività molto intensa sia dal punto di vista cardiovascolare che dello sforzo articolare.
La camminata in salita all’intensità appropriata alla condizione del soggetto rappresenta solitamente l’opzione migliore. L’uso del tapis roulant è sconsigliato con gravi lesioni ad anche, ginocchia, caviglie e piedi. Gli esercizi alla cyclette o il nuoto possono migliorare la condizione aerobica ma non sono ideali per la conservazione della densità minerale ossea.
Esercizi di forza
- Frequenza: almeno 2 giorni a settimana in giorni non consecutivi. Rappresenta un elemento fondamentale del programma di esercizi strutturati per l’osteoporosi.
- Intensità: 2-3 serie da 10-15. Iniziare con attrezzature isotoniche piuttosto che con pesi liberi. Successivamente al raggiungimento del livello minimo di forza, è possibile utilizzare pesi liberi. Il programma di allenamento dovrebbe infatti contribuire a migliorare anche la funzione motoria (equilibrio, coordinazione, agilità ecc.), obiettivo raggiungibile più facilmente con l’uso dei pesi liberi piuttosto che con macchine isotoniche.
- Tempo: quello necessario all’esecuzione di almeno 2-3 serie da 10-15 ripetizioni con un minuto di riposo tra le singole serie. Per migliorare la forza resistente, ridurre l’intensità e aumentare la durata. Evidenze suggeriscono che alternando due modalità di allenamento (forza massima e forza resistente) si ottengono i risultati migliori.
- Tipo: esercizi dinamici (concentrici ed eccentrici) eseguiti con metodo standard di serie/ripetizioni e riposo o in modalità a circuito. Utilizzare inizialmente macchine preferendo esercizi in catena cinetica chiusa. Prescrivere i pesi liberi solo in seconda istanza.
Esercizi di flessibilità
- Frequenza: idealmente tutti i giorni. Devono interessare i principali gruppi muscolari con particolare attenzione ai muscoli attivati durante gli esercizi aerobici e di forza.
- Tempo: stretching statico mantenuto per 10”-30”. Le tecniche PNF prevedono contrazioni di 6” seguite da allungamenti assistiti per 10”-30”. Le posture possono essere mantenute per vari minuti.

domenica 10 novembre 2013

sport invernali...come prepararsi.......al meglio






Consigli ed informazioni sull’alimentazione ideale per ottimizzare le prestazioni di chi pratica gli sConsigli ed informazioni sull’alimentazione ideale per ottimizzare le prestazioni di chi pratica gli sport invernali


Per chi non lo sapesse, le specialità dello sci alpino rientrano sostanzialmente in due tipologie di meccanismi energetici:
1) anaerobico lattacido e anaerobico misto: la discesa e gli slalom.
2) aerobico: gli sport di lunga durata, come lo sci di fondo, il biathlon, lo sci alpinismo e le camminate con le racchette da neve o ciaspole.Sport invernali e alimentazione
Nella prima tipologia di sforzo, la ricarica dell’ATP avviene grazie ai carboidrati, nella seconda, dopo circa 20’, grazie ai grassi. In tutte le specialità però abbiamo una costante: la notevole richiesta energetica dovuta all’ambiente termico sfavorevole. Si calcola infatti che il dispendio energetico sia di 12, 15 calorie al minuto, ciò significa che in 1 ora di sci intenso si possono arrivare a bruciare anche 900 calorie!
Prima di addentrarci in esempi di diete relative ai meccanismi energetici suddetti, mi permetto di dare a tutti una serie di consigli pratici:
- Fare sempre la colazioneLa pessima abitudine di molti italiani di partire senza aver fatto colazione è, in questo caso, particolarmente deleteria perché vi porterà in breve tempo all’ipoglicemia, con cali di rendimento e giramenti di testa, fino al rischio di collasso. Partireste per un viaggio con il serbatoio dell’auto in riserva?- Fare spuntini a metà mattina e metà pomeriggioQuest’ottima abitudine vi consentirà di avere livelli di energia costanti.- Limitare il consumo di salumi, cioccolata, dolci in genere, caramelle, bevande gassateQuesto perché impegnano eccessivamente l’apparato digerente, portando un eccesso di sangue ai visceri e togliendolo ai muscoli; inoltre i dolci possono dare ipoglicemia reattiva.- Limitare l’utilizzo di fast-foodPer l’elevato contenuto di calorie, grassi saturi e sale.- Scoraggiare il consumo di merendinePerché ricche di zuccheri ad elevato indice glicemico e grassi saturi o idrogenati, sostituendole con barrette energetiche e/o proteiche di qualità nutrizionale superiore.- Consumare almeno cinque porzioni al giorno di verdura e frutta, per il contenuto di vitamine, minerali, fibre e acqua.- Consumare uova, latte e derivati, se non si è intollerantiPer il calcio, lo zinco, le vitamine.- Consumare pesce e carni magrePer il contenuto di proteine a elevato valore biologico e ferro.- Consumare cereali integraliPerché apportano carboidrati a lento assorbimento.- Pianificare idonei spuntini e razioni di recupero prima e dopo gli allenamenti o le gare
- Assicurare liquidi, elettroliti e carboidrati durante e dopo l’esercizio.
Ricordatevi di bere (almeno 40 ml per kg di massa magra o 30 ml per kg di peso corporeo). Anche se l’ambiente freddo potrebbe non farvene sentire il bisogno, dovete prevenire la sete, perché quando l’avvertite è già in atto un processo di disidratazione, la nemica numero uno degli sportivi.
Sport di tipo anaerobio lattacido ed anaerobico mistoPer queste attività sportive, nelle quali il carburante elitario sono i carboidrati, va benissimo la classica dieta mediterranea, con le percentuali tra i nutrienti suggerite dai L.A.R.N., quindi, il 55–60% di carboidrati, il 10–15% di proteine ed il 30% di grassi, avendo l’accortezza di utilizzare, di norma, carboidrati a basso indice glicemico, ad eccezione dei momenti di ipoglicemia, nei quali risulta più utile il consumo di quelli ad elevato indice glicemico: in pratica la scelta dei carboidrati deve essere oculata, fatta in rapporto agli obiettivi.
Cibi a basso IG nel pasto pre competitivo o pre allenamento
- Ritardano l’insorgenza della fatica
- Tengono bassi i livelli di insulina
- Aumentano l’ossidazione degli acidi grassi
- Migliorano l’omeostasi glicemica
Cibi ad alto IG nel pasto post competitivo o post allenamento- Evitano il catabolismo delle strutture proteiche
- Velocizzano la resintesi dell’ATP
- Inducono sazietà
- Inducono rilassamento.

mercoledì 6 novembre 2013

il cocco



naturalblackandbeautiful.blogspot.com





L’acqua di cocco, l’alternativa naturale alle bevande isotoniche
Assaporare il gusto del cocco a cuor leggero, sapendo di bere una bevanda naturale, priva di sostanze aggiunte. Ococo è 100% acqua di cocco, dissetante, fresca, estratta direttamente dalla noce giovane di cocco verde. Non contiene zuccheri aggiunti, grassi o colesterolo e per questo rappresenta un integratore isotonico in grado di ristabilire l’equilibrio idrico ed energetico dell’organismo. A differenza di altre bibite isotoniche realizzate per via chimica, contiene una quantità rilevante di sali minerali e il suo bilancio salino è simile a quello che si trova nelle nostre cellule.
Il nutrizionista Dott. Bruce Fife, direttore de “The Coconut Research Center” e autore de “Coconut Water for Health and Healing” la denomina come un vero ‘superfood’. La FAO (Organizzazione delle Nazione Unite) la propone come alternativa naturale agli energy drink. Il segreto dell’acqua di cocco sono le sue proprietà nutritive: non solo un concentrato di sali minerali, contiene anche più di 18 aminoacidi essenziali, a differenza delle bibite energetiche funzionali che non ne contengono affatto.
La medicina ayurveda si serve dell’effetto curativo dell’acqua di cocco già da millenni: l’acqua di cocco ha effetti antinfiammatori e antifebbrili, depura il sangue e i reni e combatte le malattie della vescica. Secondo l’arte di guarigione ayurveda l’acqua di cocco può inoltre diluire il sangue e prevenire infarti.
La Food & Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha approvato che l’acqua di cocco può ridurre il rischio di ipertensione e ictus. La ricerca dimostra che l’acqua di cocco può migliorare la circolazione del sangue, abbassare la pressione sanguigna elevata, e ridurre il rischio d’infarti e ictus.

 isolabio.com

martedì 5 novembre 2013

olit


www.olit-trainingolistico.com



Un allenamento che alza il livello della percezione del corpo e che offre benefici concreti a chi lo pratica. Ce ne parla la sua ideatrice, Silvia Pozzato
Basato su quattro principi fondamentali, il controllo del movimento, la fluidità d’esecuzione, il controllo della respirazione e la concentrazione massima, il metodo Olit appare come un’affascinante danza al rallentatore che procura benessere al corpo e alla mente. Una disciplina estremamente performante che trae la sua linfa vitale dalle Arti Maestre come il Tai Chi e il Qi Kung e che nasce alcuni anni fa grazie a Silvia Pozzato, atleta, ballerina e coreografa italiana.
Intervista a Silvia Pozzato
Come nasce Olit e per rispondere a quali esigenze?
“Olit nasce dall’esigenza di superare quelli che io consideravo limiti del Pilates, che insegnavo già più di dieci anni fa. Ballando Afro e avendo un buon rapporto con la percezione del movimento, ho sviluppato una lezione concepita a ritmo di musica e basata sulla circolarità e i movimenti a spirale che sono alla base delle Arti Maestre come il Tai Chi o il Qi Kung. Nel corso del tempo e con tanto studio è nata questa disciplina che rappresenta una contaminazione mai preparata a tavolino ma realizzata attraverso l’istinto dell’atto motorio. A POSTERIORI (ed insisto su questo) sono state esaminate tutte le “citazioni” dallo Yoga, dal Tai Chi, dal Qi Kung e persino dalla Capoeira come sequenze o posizioni naturalmente adottate dal corpo per passare da un movimento a un altro. Questo fa di Olit non un mix di varie discipline ma una presa di coscienza del muoversi secondo natura e in armonia con se stessi, cosa che vari tipi di sport e il Fitness hanno progressivamente ‘contaminato’.
Com’è strutturata una lezione base?
“È una lezione di 50/60 minuti che prevede uno sblocco e un ‘riallineamento’ iniziale con una successiva fase più allenante e una parte centrale dedicata all’esercizio dell’equilibrio puro. Una parte a terra conclude il tutto. Dall’esterno potrebbe sembrare una grande danza eseguita al rallentatore al ritmo di una musica fortemente emotiva. Una ‘danza’ molto energica però: le spinte con le mani e i piegamenti sulle braccia la dicono lunga sul suo aspetto performante. Per questo Olit è amata dagli uomini e soprattutto dagli atleti delle arti marziali”.
Si ricorre all’uso di attrezzi?
“Non si utilizzano attrezzi ma esclusivamente il carico naturale e molto… la Mente”.
Qual è la tua opinione in merito al boom dell’allenamento funzionale di questi ultimi anni? Olit rientra nella grande famiglia degli allenamenti funzionali?
“Negli anni in cui nacque il termine olistico era davvero raro sentirlo pronunciare nel nostro settore e di Olit veramente si potrebbe dire che sia la prima e completa disciplina olistica nata in Italia… Ha subìto infatti immediati tentativi di copia al suo esporsi ufficialmente sui palchi del mondo del fitness! Con alle spalle tanta Medicina Tradizionale Cinese e tanta esperienza sul campo, vanta oggi ben tre tesi di ricerca in ambito medico universitario. Utilizzato come metodo propriocettivo che ha elevato anche giocatori di golf al livello di campioni piuttosto che sollevato individui che hanno sempre combattuto con problemi legati all’autostima o al disequilibrio interiore, Olit è un percorso individuale vincente ed apprezzato oltre che un modo intelligente di allenare il corpo. Negli ultimi anni il boom del funzionale ha sicuramente rivalutato le attività cardiovascolari a carico naturale ma per quel che mi riguarda l’unico allenamento funzionale vantaggioso è quello che porta ad un Benessere della mente, dell’anima e del corpo. Quello fatto non per scaricare tensione, ma per ricaricarsi di energia”.

www.ilfitness.com